Una guerra quella in Ucraina, molto vicina a noi , quali sono i reali rischi per l’Europa?
Purtroppo qualche rischio esiste, e riguarda l’eventualità di un coinvolgimento ancora più diretto dei paesi europei nel conflitto. Intendo un coinvolgimento che passi dalla fornitura di armi, come stiamo facendo da tempo, al dispiegamento di soldati europei, dei Paesi Nato, in territorio ucraino, per combattere contro i soldati russi.
Le parole di Macron delle ultime settimane sono da questo punto di vista inquietanti, e infatti hanno spiazzato molti governi europei. Macron con questa mossa cerca di conquistare una specie di leadership europea, anche andando contro i tre quarti dei francesi che i sondaggi danno contrari all’invio di truppe. Ma il presidente francese in realtà non è solo. Prima di lui e adesso accanto a lui ci sono la Polonia e le repubbliche baltiche, che hanno un contenzioso con la Russia che precede addirittura la dominazione sovietica. E appena un passo indietro c’è la Gran Bretagna, che due anni fa giocò contro il negoziato di Istanbul tra russi e ucraini, giunto a un passo dall’ accordo, e che oggi soffia sul fuoco spingendo Zelenski a usare le armi fornite dall’Occidente anche in territorio russo. Quasi a cercare l’escalation.
Lei ha una grande esperienza come inviato Rai in territori di guerra . Nelle sue missioni ha avuto incontri con Capi di Stato, spie, militari…si è trovato spesso anche in situazioni pericolose. Ha mai avuto paura? Cosa l’ha spinta ad andare avanti?
Quando c’è una crisi, una rivolta o una guerra e vuoi cercare di capirla direttamente non c’è modo migliore di esserci dentro. E questo comporta dei pericoli. Che possono avere gradi diversi, se stai in Afghanistan o in Algeria o nel Donbass, come racconto nel libro, ma che incombono anche quando segui per settimane in diretta l’assalto dei gilet gialli nel cuore di Parigi. Dove i lacrimogeni antisommossa erano dello stesso tipo di quelli usati dai soldati russi nel Donbass e denunciati come armi chimiche dagli ucraini.
Ne vale sempre la pena?
Secondo me sì. Quando puoi avere una tua cognizione diretta della vicenda e hai l’onestà di raccontarla come la vedi puoi infischiartene delle versioni degli altri e delle manipolazioni che spesso le accompagnano.
Che cosa significa raccontare il conflitto Russia Ucraina?
Significa entrare nei meccanismi internazionali del potere vero, quello con la “p” maiuscola. Quello che ti spiazza quasi sempre. Che quando credi di avere di fronte una lunga pace sta già ipotizzando una nuova guerra. E che una volta ipotizzata la simula, e poi la minaccia e poi magari la fa.
Tra i tanti incontri avuti in questi anni ce n’è uno o più di uno che l’ha particolarmente colpita?
Nell’arco di tempo attraversato in questo libro, oltre trent’anni, ho incontrato decine e decine di personaggi a loro modo speciali. Potrei citare Vernon Walters, potentissimo generale, capo della Cia, consigliere di tre diversi presidenti americani e accusato di essere dietro ai colpi di Stato in mezzo mondo. Mi colpì quando mi spiegò dov’era la vera forza: non la Cia, quasi mi urlò, ma la Dia, l’intelligence militare americana. Una lezione. Oppure Gorbaciov, che nel raccontare perchè e per come non avesse preteso un accordo scritto sul non allargamento della Nato a est, dopo averne discusso con Bush e Khol, mi apparve improvvisamente inadeguato alla sfida che l’Urss aveva dovuto affrontare dopo il crollo del muro di Berlino. “Mi sono fidato della parola e della stretta di mano” le sue parole. Un’ingenuità quasi incredibile.
Ma insieme a chi ha fatto la Storia sono state le persone che l’hanno subita a insegnarmi molte cose. Come le nonne in fila all’alba, in attesa di un filone di pane, nel gelo di una Mosca che stava vivendo il tracollo dell’Urss. “Abbiamo visto di peggio durante la guerra, non ci spaventiamo per così poco” mi dicevano. E anche quella è stata una lezione.
– Antonella Colombo –